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MALCOLM X
(MALCOLM X)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 agosto 1993
 
di Spike Lee, con Denzel Washington, Angela Bassett, Albert Hall, Spike Lee (Stati Uniti, 1992)
 
MALCOLM X inizia con le immagini dell'ormai leggendario pestaggio di Rodney King da parte dei poliziotti di Los Angeles. E termina con quelle Nelson Mandela a Soweto. Spike Lee, con la sua tipica audacia espressiva, sovrappone alla voce del leader africano quella dell'americano, completandogli il celebre discorso: "Ogni essere umano ha il diritto al rispetto. E questo diritto va imposto" - aggiunge il regista a Mandela, utilizzando l'espressione di Malcolm - "con ogni mezzo a disposizione".

Si tratta, insomma, di quel "By Any Means Necessary": che da il titolo alla sceneggiatura ed al libro di Spike Lee ("l'Autobiografia di Malcolm X è il libro più importante della mia vita, ed il film dal quale è tratto, la ragione per la quale sono diventato cineasta", scrive il regista in prefazione all'edizione della stessa, pubblicata nel l992). Sceneggiatura basata su un'autobiografia, quindi: ma autobiografia, non dimentichiamolo, di seconda mano, poiché riscritta da Alex Haley, sulla base delle conversazioni avute da questi con Malcolm X, e pubblicate post-mortem.

Malgrado queste che potrebbero anche essere chiamate tribolazioni dell'iter, MALCOLM X è soprattutto un atto di fede: ed in questa esaltazione sono contenuti i pregi, ed i limiti, del film. I pregi, poiché in un'epoca di ambizioni in celluloide più che limitate, è difficile negare i segni esaltanti della nobiltà a questa pellicola di 201 minuti: condotti con perizia, fervore e totale dedizione. Tre parti ben distinte, indubbiamente fedeli alla realtà, impostate sull'itinerario classico della biografia (qualcuno dirà dell'agiografia... ) epica. L'eroe oscuro che nasce in un ambiente oppresso ed al tempo stesso mitico: Malcolm giovane, seduttore da bar allo Small Paradise, ballerino all'Onyx Club mentre chi canta "I Cover the Waterfront" è semplicemente Billie Hollyday, elegantone sulla pista del Roseland Ballroom di Harlem, drogato, delinquente e biscazziere. Poi, la presa di coscienza delle proprie qualità morali ed intellettuali: la prigione, la lettura, l'iniziazione alla politica, alla lotta, alla religione islamica. Ed infine - terza parte - il viaggio africano con la visita alla Mecca, l'assunzione del ruolo di leader, la predicazione, l'identificazione nell'eroe di tutto un popolo. E la morte, l'assassinio, che lo consacra definitivamente fra i martiri ed i miti della lotta contro il razzismo.

I pregi dell' atto di fede: quando costruiti nel segno della varietà di una situazione, dell'evoluzione di un vita, della maturazione e dell'esplosione di un itinerario morale. Ma anche, i limiti. Poiché Spike Lee (e c'è tutto quanto di nuovo il suo cinema ha dimostrato, da JOÈS BARBER SHOP rivelato da Locarno, a DO THE RIGHT THING) è il cineasta dell'istante, del gesto, della fisicità, della dinamica. Ed assai meno della costruzione, della conseguenza temporale che conducono all'epopea.

Ecco allora che tutta la prima parte di MALCOLM X è straordinaria: perché appartiene non soltanto alla mondo delle idee, ma a quello dell'arte di Spike Lee. Il cineasta ha filmato le contraddizioni del giovane eroe come in una commedia musicale: con la vertigine dei movimenti di camera, dell'invasione dello spazio, la spregiudicatezza nell'uso dei colori, dei costumi, delle scenografie, della gestualità degli attori, che era quella - ormai scomparsa - dei Minnelli, dei Berkeley, dei Kelly. Rivista e corretta - ovviamente - dalla rabbia del militante che conosciamo. Straordinario virtuosismo: che gli fa mescolare, sulle ali di quella musica che soltanto lui sa fondere alle immagini con altrettanta perizia di ritmo, il musical, il poliziesco, il film sulla prigione. E conferisce al film quell'assenza di "arrière-pensées" che MALCOLM X finisce purtroppo per dimenticare in seguito, quando si fa edificante, predicatorio e accademico. Tutto quanto, insomma, si situa agli antipodi del cinema di Spike Lee.

È a partire da qui che MALCOLM X finisce di appartenere al proprio autore: mentre il suo protagonista ritorna in quella zona indistinta e tutta scoprire che appartiene forse di diritto agli eroi rifugiati nel mito.


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